Per partecipare al sit-in contro le restrizioni anti-Covid il grosso del centrodestra fa mancare il numero legale alla seduta. Critici Liberali e gruppo misto: «E' vergognoso, vengano ancora a chiederci i voti»
È saltato il consiglio comunale in
programma ieri pomeriggio. Perchè
la maggioranza di centrodestra ha
voluto presenziare alla concomitante manifestazione di piazza contro
le restrizioni anti-Covid decise dal
governo. E gli ingredienti per una infuocatissima polemica ci sono tutti. Non solo per voce di una minoranza che, in coro, ha gridato al «vulnus istituzionale», ma anche per la
protesta di quella parte di maggioranza - Liberali piacentini e gruppo
misto - che si è energicamente dissociata da chi - Lega, Fdi, Forza Italia - ha scelto di disertare la seduta.
Tutti presenti alle 15, orario di convocazione del Consiglio, nel salone
di Palazzo Gotico. Fitti conciliaboli
tra capannelli di consiglieri. La sindaca Barbieri ha appena informato
le opposizioni della volontà di molti della maggioranza di andare alla
manifestazione delle 17 a barriera
Genova promossa da gestori di palestre, pubblici esercizi e attività culturali. Dalla minoranza emerge una
proposta di mediazione: ci vada una
delegazione bipartisan con due esponenti della maggioranza e due
dell'opposizione, così da non mandare in fumo la seduta. Proposta che
la sindaca rilancia, ma che non convince tutto il centrodestra.
Il presidente dell'assemblea, Davide Garilli (Lega), convoca una conferenza dei capigruppo che si tiene
in piedi in un angolo appartato del
salone. I ruvidi echi che dalla riunione distintamente si levano danno
evidenza che le posizioni rimangono distanti. Per la maggioranza parla un categorico Giancarlo Migli
(Fdi): «La manifestazione è stata indetta dopo la convocazione della seduta e intendiamo parteciparvi, per
noi il Consiglio oggi non si fa». Con
la minoranza è muro contro muro.
Si procede all'appello, mentre il grosso del centrodestra indossa il soprabito ed esce dal salone per far mancare il numero legale. Rispondono
i dieci della minoranza (assente giustificato Luigi Rabuffi di Piacenza in
Comune) e sei della maggioranza:
ma 16 presenti non bastano per un
soffio a raggiungere il quorum che
è di 17. Idem al secondo e ultimo appello, a Garilli non rimane che dichiarare deserta la seduta.
L'opposizione - Pd, M5s, Liberi, Piacenza Oltre, Piacenza del futuro -
convoca un'improvvisata conferenza stampa per denunciare quello
che, coralmente, viene definito «un
golpe da Ventennio», «un vulnus alla democrazia e alle istituzioni solo
per fare una passerella». A Barbieri
e alla maggioranza viene rinfacciato di essere «eterodiretti da Fratelli
d'Italia che ha imposto la sua linea
di far saltare il Consiglio». «Eterodiretti da Tommaso Foti», il deputato
di Fdi che Massimo Trespidi (Liberi), Stefano Cugini (Pd) e Andrea Pugni (M5s) hanno indicato come
l'ispiratore della linea dura («e la Lega, gruppo più numeroso, è andata
a rimorchio») vincente su quella soft
della sindaca che, dopo essersi prestata alla mediazione, è rimasta in
aula al momento dell'appello. «Io
sono stata dentro, ma non mi permetto di dare giudizi su chi ha fatto
scelte diverse», ha fatto sapere Barbieri a "Libertà", «oggi è una giornata particolare anche per l'esigenza
di solidarietà che quelle categorie di
lavoratori hanno chiesto e ci può stare che chi vuole dia un segno di vicinanza, io alla manifestazione ci sarei andata comunque».
Anche Garilli ha risposto presente
all'appello. Ma «il presidente era qui
per far svolgere il consiglio comunale», ha tenuto lui stesso a chiarire
opponendo un secco no comment
alla richiesta di un giudizio sulla seduta saltata. Quasi tutti loquacissimi invece gli altri esponenti della
maggioranza rimasti in aula: i tre del
misto - Sergio Pecorara, Michele
Giardino, Mauro Saccardi - e il capogruppo dei Liberali, Antonio Levoni. Nel mirino gli alleati usciti
dall'aula, che è «il luogo istituzionalmente preposto per dibattere anche
riguardo alle questioni sollevate dalla manifestazione sul Facsal», ha
considerato Levoni osservando, oltretutto, che nella seduta di ieri al
primo punto all'ordine del giorno
c'erano le comunicazioni a tema libero dei consiglieri, dunque «avevamo tutta la possibilità di esprimere ciò che pensiamo su quanto sta
accadendo e sostenere le ragioni della protesta, anche se per la prossima volta suggerisco agli organizzatori di invitare le istituzioni».
«Anteporre la piazza a un consiglio
comunale democraticamente eletto non mi piace», ha stigmatizzato
Giardino. «È vergognoso che il gruppo misto non sia stato coinvolto», ha
rincarato la dose Saccardi, «facciamo comodo solo quando c'è da votare, ma poiché ragioniamo con la
nostra testa continueremo a essere
la parte scomoda della maggioranza, e quando saranno necessari i nostre voti se ne accorgeranno». Nel ricordare che lui stesso, essendo un
commerciante, è «toccato nel vivo»
dalle restrizioni anti-Covid, Saccardi ha sottolineato che «mandare a
monte un Consiglio, che è la sede
istituzionale per eccellenza deputata a discutere di tutto, mi sembra
un gravissimo errore».
Dai consiglieri "scioperanti" abbiamo raccolto, mentre guadagnavano l'uscita dal Gotico, dichiarazioni di convinta rivendicazione della
scelta. Secondo il leghista Carlo Segalini, «oggi è importante scendere
in strada accanto a chi sta pagando
il prezzo più alto, il Consiglio può riunirsi la prossima volta». D'accordo
si è detto il capogruppo di Fi, Francesco Rabboni, anche se ricostruisce diversamente l'assessore forzista Jonathan Papamarenghi (cultura) in una nota diffusa nel pomeriggio in cui sostiene che i due esponenti del gruppo (Ivan Chiappa oltre a Rabboni) «avevano anticipato
che non avrebbero garantito la presenza al Gotico, e non per andare alla manifestazione, ma per motivi di
sanità pubblica, avendo auspicato
che la seduta si tenesse in videoconferenza». E a "Telelibertà" lo stesso
Rabboni ha precisato: «Ero in consiglio solo per ribadire il mio no a sedute in presenza e non per appoggiare la scelta della maggioranza».
Libertà