Dalla giunta Guidotti a Polledri, da Foti a Zandonella, a destra il rifiuto di stampo identitario e legalitario. Poi il tempo ha mischiato le carte
È una lunga storia quella della
"moschea di Piacenza", un tema da
sempre «divisivo», come si dice oggi quando una cosa non può andare bene a tutti.
Già la prima antesignana della moschea oggi ufficialmente riconosciuta, nel gennaio 2000 scatenò un
fuoco di sbarramento notevole: la
giunta di centrodestra guidata da
Gianguido Guidotti si mise subito
al lavoro per far chiudere quelle
due vetrine di vicolo Edilizia 23-25
affittate come luogo di preghiera
"ufficioso" per i musulmani (una
comunità che allora contava 4mila persone, un quinto di quella
odierna). L'allora assessore all'Urbanistica Luigi Aliprandi sottolineò
come mancassero i requisiti legali
per fare diventare quella ex salumeria un luogo di culto.
Da lì a Torrione Fodesta e poi alle
due "non moschee" - cioé luoghi
di culto senza il timbro della regolarità - di via Mascaretti e via Caorsana, la musica è sempre stata più
o meno la stessa: a Piacenza di moschee non ne vogliamo.
A fare un viaggio negli archivi si individuano due linee di azione
nell'opporsi al riconoscimento di
un luogo di culto per i residenti di
fede musulmana: una che potremo definire "identitaria" e l'altra
"burocratico-amministrativo".
Alla prima categoria si iscrive il leghista Massimo Polledri, che nel
2009, mentre la "non moschea"
sulla Caorsana è aperta da poco, dichiarava: «I dati forniti dal ministero dell'Interno dimostrano che le
moschee riflettono al proprio interno l'articolata e talora contraddittoria realtà del panorama islamico, infatti troppo spesso si individuano forti connessioni tra i soggetti che frequentano il luogo di
culto e sostenitori del radicalismo
islamico». Erano gli anni dello
"scontro di civiltà", della guerra in
Iraq, era imminente la nascita
dell'Isis, e l'Islam faceva paura. Ma
era anche una questione di fede.
«La costruzione di una moschea -
concludeva Polledri - è legata anche alla reciprocità, circostanza che
non mi sembra rispettata nei paesi islamici».
Una chiave di lettura che adesso
sembra superata, ma che all'epoca
poteva pagare bei dividendi elettorali. Con la stessa cifra "identitaria" Tommaso Foti, oggi parlamentare FdI, nel 2014 consigliere comunale di Fratelli d'Italia, criticava l'allora sindaco Paolo Dosi per una visita alla "non moschea" sulla Caorsana. «Nel suo inutile peregrinare
cittadino - diceva Foti - il sindaco
presta più attenzione alla comunità musulmana che a quella dei piacentini che soffrono. E' il solito buonismo di sinistra che tifa per chi più
alza la voce, anzichè per chi soffre
in silenzio». «Il sindaco vada negli
ospedali - esortava Foti - tra le famiglie piacentine, tra gli operai licenziati. Vederlo in moschea, a rendere omaggio agli islamici, è un oltraggio alla città, una ferita per Piacenza e per i piacentini». La moschea appare dunque per la destra
la parte più visibile di quella presunta, insanabile «ferita» tra i piacentini e la comunità musulmana.
E quando non è questione di identità, almeno sia questione di legalità (utilizzata però anche dal dem
Roberto Reggi, infuriato per l'apertura del centro sulla Caorsana fatta «senza avvertire nessuno»). L'assessore alla Sicurezza, il leghista Luca Zandonella, appena nominato
nel 2017 aveva già avvertito: «No alle moschee spacciate per centri
culturali». Durante la campagna
elettorale aveva spesso criticato
l'amministrazione a guida Pd «che
continua a permettere queste situazioni di abusivismo. E anzi, partecipa a a varie cene ed iniziative
organizzate dai presunti centri culturali, dandogli di fatto la benedizione».
«Non si capisce perché - continuava Zandonella - le associazioni piacentine devono giustamente rispettare le destinazioni d'uso degli
immobili (regole igienico-sanitarie, uscite di emergenza, capienza
massima), mentre i centri islamici
no. È un razzismo al contrario cui
la Lega metterebbe fine se fosse al
governo della città».
Poi il tempo, che ha evidentemente un certo senso dello humour, si
incarica di aprire nuove strade, con
il lungo iter per la regolarizzazione
avviato 12 anni fa e poi con la giunta Dosi che inserì l'area della Caorsana nel Psc per ospitare luoghi di
culto. E chi prometteva di porre fine all'irregolarità, rischia oggi di
dover tagliare - solo metaforicamente, sia chiaro - il nastro della regolarissima moschea di Piacenza.
Libertà