Rassegna Stampa

Quel muro dei 'no' cominciato 21 anni fa

Data: 19/03/2021

Dalla giunta Guidotti a Polledri, da Foti a Zandonella, a destra il rifiuto di stampo identitario e legalitario. Poi il tempo ha mischiato le carte

 È una lunga storia quella della "moschea di Piacenza", un tema da sempre «divisivo», come si dice oggi quando una cosa non può andare bene a tutti. Già la prima antesignana della moschea oggi ufficialmente riconosciuta, nel gennaio 2000 scatenò un fuoco di sbarramento notevole: la giunta di centrodestra guidata da Gianguido Guidotti si mise subito al lavoro per far chiudere quelle due vetrine di vicolo Edilizia 23-25 affittate come luogo di preghiera "ufficioso" per i musulmani (una comunità che allora contava 4mila persone, un quinto di quella odierna). L'allora assessore all'Urbanistica Luigi Aliprandi sottolineò come mancassero i requisiti legali per fare diventare quella ex salumeria un luogo di culto. Da lì a Torrione Fodesta e poi alle due "non moschee" - cioé luoghi di culto senza il timbro della regolarità - di via Mascaretti e via Caorsana, la musica è sempre stata più o meno la stessa: a Piacenza di moschee non ne vogliamo. A fare un viaggio negli archivi si individuano due linee di azione nell'opporsi al riconoscimento di un luogo di culto per i residenti di fede musulmana: una che potremo definire "identitaria" e l'altra "burocratico-amministrativo". Alla prima categoria si iscrive il leghista Massimo Polledri, che nel 2009, mentre la "non moschea" sulla Caorsana è aperta da poco, dichiarava: «I dati forniti dal ministero dell'Interno dimostrano che le moschee riflettono al proprio interno l'articolata e talora contraddittoria realtà del panorama islamico, infatti troppo spesso si individuano forti connessioni tra i soggetti che frequentano il luogo di culto e sostenitori del radicalismo islamico». Erano gli anni dello "scontro di civiltà", della guerra in Iraq, era imminente la nascita dell'Isis, e l'Islam faceva paura. Ma era anche una questione di fede. «La costruzione di una moschea - concludeva Polledri - è legata anche alla reciprocità, circostanza che non mi sembra rispettata nei paesi islamici». Una chiave di lettura che adesso sembra superata, ma che all'epoca poteva pagare bei dividendi elettorali. Con la stessa cifra "identitaria" Tommaso Foti, oggi parlamentare FdI, nel 2014 consigliere comunale di Fratelli d'Italia, criticava l'allora sindaco Paolo Dosi per una visita alla "non moschea" sulla Caorsana. «Nel suo inutile peregrinare cittadino - diceva Foti - il sindaco presta più attenzione alla comunità musulmana che a quella dei piacentini che soffrono. E' il solito buonismo di sinistra che tifa per chi più alza la voce, anzichè per chi soffre in silenzio». «Il sindaco vada negli ospedali - esortava Foti - tra le famiglie piacentine, tra gli operai licenziati. Vederlo in moschea, a rendere omaggio agli islamici, è un oltraggio alla città, una ferita per Piacenza e per i piacentini». La moschea appare dunque per la destra la parte più visibile di quella presunta, insanabile «ferita» tra i piacentini e la comunità musulmana. E quando non è questione di identità, almeno sia questione di legalità (utilizzata però anche dal dem Roberto Reggi, infuriato per l'apertura del centro sulla Caorsana fatta «senza avvertire nessuno»). L'assessore alla Sicurezza, il leghista Luca Zandonella, appena nominato nel 2017 aveva già avvertito: «No alle moschee spacciate per centri culturali». Durante la campagna elettorale aveva spesso criticato l'amministrazione a guida Pd «che continua a permettere queste situazioni di abusivismo. E anzi, partecipa a a varie cene ed iniziative organizzate dai presunti centri culturali, dandogli di fatto la benedizione». «Non si capisce perché - continuava Zandonella - le associazioni piacentine devono giustamente rispettare le destinazioni d'uso degli immobili (regole igienico-sanitarie, uscite di emergenza, capienza massima), mentre i centri islamici no. È un razzismo al contrario cui la Lega metterebbe fine se fosse al governo della città». Poi il tempo, che ha evidentemente un certo senso dello humour, si incarica di aprire nuove strade, con il lungo iter per la regolarizzazione avviato 12 anni fa e poi con la giunta Dosi che inserì l'area della Caorsana nel Psc per ospitare luoghi di culto. E chi prometteva di porre fine all'irregolarità, rischia oggi di dover tagliare - solo metaforicamente, sia chiaro - il nastro della regolarissima moschea di Piacenza.

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