Il Piano strategico nazionale aree interne approvato in aprile da più parti letto come una «cura palliativa per territori dati per spacciati»
Quale destino attende i piccoli centri e le cosiddette aree marginali del nostro Paese? Lo sappiamo, l'Italia è una Nazione sempre più vecchia, nella quale si fanno sempre meno figli: la longevità aumenta, ma la popolazione decresce e non si rinnova. Nel frattempo, le province vanno pian piano erodendosi a vantaggio dei centri urbani attraverso un processo di migrazione interna iniziato nel secolo scorso e mai finito. I due fenomeni sono legati, poiché, come testimonia il 9 Rapporto della Commissione Europea sulla Coesione, proprio nelle aree più periferiche, processi quali l'invecchiamento della popolazione, l'emigrazione giovanile e il declino dei servizi essenziali colpiscono più duramente e più velocemente. La prospettiva peggiore, quindi, ci lascia intravedere grappoli di località fantasma diffusi per tutto il Paese. Le aree interne, infatti, sono composte dai comuni intermedi, periferici e ultra-periferici, si trovano lungo l'intera Penisola e rappresentano oggi un quarto della popolazione italiana, ovvero più di 13 milioni di persone. Esse sono state definite dal Pnr (Programma nazionale di riforma) come «Un'ampia porzione del territorio nazionale, che, sebbene ricca di risorse, ambientali e paesaggistiche, culturali e del saper fare locale, ha subito gradualmente nel tempo un processo di marginalizzazione che si è tradotto in declino demografico, calo dell'occupazione e uso e tutela del suolo non adeguati». Così , oggi, se si parla di aree interne, si fa riferimento a una serie di territori quantomai a rischio di scomparsa.
La situazione non è comunque omogenea e appare più critica al sud rispetto che al nord. Certo, anche nel settentrione non mancano le aree interne; queste però godono di una collocazione geografica migliore, che lascia aperti più spiragli di speranza per quel che riguarda la loro sopravvivenza. Situazioni analoghe, ma destini differenti. Le aree interne, infatti, sono presenti in particolare nel Mezzogiorno dove rappresentano il 67% dei comuni e il 36% della popolazione. E le ultime stime parlano di un drastico calo demografico previsto nei prossimi 10 anni per circa il 90% dei comuni facenti parte proprio delle aree interne del sud.
Un quadro severo, che, così come descritto nel Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne (Psnai), ha suscitato malcontento. Il documento, frutto della Strategia nazionale per le aree interne (Snai), ovvero la politica pubblica che mira a promuovere lo sviluppo delle aree interne del Paese, ha l'obiettivo di definire linee guida per interventi mirati che rispondano alle specificità di ciascun territorio. Nella sua più recente versione, il Psnai ha definito 4 obiettivi, calibrati su 4 condizioni di partenza delle varie aree interne.
Resa del Governo?
Tra questi quattro obiettivi è stato proprio l'ultimo ad accendere le polemiche. Esso, infatti, si traduce in un "Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile". A causa di una struttura demografica compromessa, basse prospettive di sviluppo economico e deboli condizioni di attrattività, «queste aree – si dice nel Psnai – non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza, ma non possono nemmeno essere abbandonate a sé stesse. Hanno bisogno – continua il documento – di un piano mirato che le possa assistere in un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento, in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita». Insomma, il quarto obiettivo sancisce per alcune aree interne l'accompagnamento verso la fine e rappresenta una sorta di cura palliativa rivolta a quella parte di territori marginali ormai data per spacciata.
Un approccio che ha destato polemiche. A criticare il Governo e Tommaso Foti, il ministro per le Politiche di coesione, sono stati soprattutto rappresentanti delle opposizioni.
L'accusa mossa al Governo è di essersi arreso e aver programmato un abbandono di buona parte delle aree marginali, e del meridione in particolare. Inoltre, sempre secondo i critici del Psnai, si sarebbe potuto fare di più in termini di investimenti pecuniari e anche in termini di attenzione alle aree del sud, ancora carenti di un ministero ad hoc.
Una storia
Le aree marginali del centronord, invece, secondo i dati contenuti nel Psnai avrebbero più probabilità di resistere. A lato, illustriamo come, parlando anche dei casi piacentini. Intanto, valutazioni politiche a parte, occorre prendere atto di come il Psnai, nel 2025, rappresenti l'ennesima conferma di una situazione tipicamente italiana, che attraversa longitudinalmente la storia del Paese. Nell'Italia di oggi così come nel neonato Regno del 1861, si registra una disparità che si innesta su due binari: nord e sud, grandi centri e aree marginali. A perderci ancora una volta è proprio l'Italia stessa, che, nelle province più remote, ha spesso trovato la linfa sempreverde del suo genio e della sua operosità
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