Rassegna Stampa

Le colpe dell'Occidente e il ruolo dell'Italia 'La nostra Resistenza simile a quella ucraina'

Data: 10/09/2023

Analisi e prospettive del conflitto (giunto a 500 giorni) nel convegno organizzato dalla Cisl: «Quanto siamo lontani dalla pace?»

Parole taglienti che squarciano il silenzio: «Se i russi smettono di combattere, la guerra finisce. Ma se smettono di combattere gli ucraini, finisce l'Ucraina». Lo dice con voce rotta Lyudmyla Popovych, presi­dente dell'associazione Nadiya che apre con un intervento molto sen­tito il convegno in Passerini Landi (moderato dal vicedirettore di Te­leliberta Michele Rancati), sulle cau­se della guerra in Ucraina a 500 gior­ni dall'inizio del conflitto. « Abbia­mo un grosso debito nei confronti di Piacenza – aggiunge -. La comu­nità è stata molto generosa con noi. Vogliamo la pace, ma anche se è brutto parlare di armi, sappiamo che non possiamo combattere a mani nude. Putin è come una scheggia impazzita, capisce solo il linguaggio della forza. Dobbiamo fermarlo». Tra gli organizzatori c'è anche il sindacato Cisl: il segretario nazionale Andrea Cuccello sostie­ne che, per Putin, la guerra è stata un modo per provare a interrompe­re l'inesorabile declino politico, vi­sta la scadenza del mandato nel 2024. «Siamo qui per capire se ci sia anche solo una remota possibilità di arrivare alla pace» aggiunge il se­gretario generale di Parma e Piacen­za Michele Vaghini, spostando l'at­tenzione sugli scenari futuri, «par­tendo però dal presupposto che non si possa mettere sullo stesso piano paese invasore e popolo invaso». La politica, quella alta, raccoglie l'ap­pello: Paola De Micheli (deputata Pd) prima e Tommaso Foti (capo­gruppo FdI alla Camera) poi, non mostrano tentennamenti: «C'è sem­pre stata continuità negli aiuti al po­polo ucraino, ma l'Italia non può ri­manere a guardare mentre l'asset­to dell'Europa viene stravolto da una rivoluzione copernicana che mette in dubbio gli equilibri del secondo Dopoguerra. Così come – aggiun­ge però piccata – l'Ucraina non può permettersi di mettere in dubbio l'impegno della Chiesa cattolica e del Papa, definito a torto filo-puti­niano ». Foti elogia il popolo ucrai­no: «Se siamo qui oggi è perché ha dimostrato una resistenza straordi­naria. L'Occidente ha mal interpre­tato quanto avveniva nel 2014, con­fondendo come referendum popo­lare (quanto accadde in Crimea) il primo atto dell'invasione». Per que­sto ora – chiude – è necessario por­re rimedio a quell'errore storico, aiu­tando gli ucraini in una battaglia che è di valori, prima che di territorio». Simone Attilio Bellezza, docente di Storia Contemporanea alla Federi­co II di Napoli, ravvisa nel 1991 la data clou: «Crollò l'Urss e nacque­ro Russia e Ucraina. Avevano cultu­re simili e stessa necessità di passa­re dal socialismo al liberalismo. Al potere in Ucraina salgono ex comu­nisti che guidano la transizione: as­sommavano potere politico ed eco­nomico, i cosiddetti oligarchi. Poi nel 2004 sale al potere Yushenko. La parola d'ordine è avvicinarsi all'Eu­ropa, democratizzandosi e ribellan­dosi agli oligarchi. La popolazione, quindi, crea un anello di congiun­zione con la classe dirigente euro­peista. Putin decide di invadere l'Ucraina per questo: rappresenta una via credibile anche per la Rus­sia, opposta al suo centralismo dit­tatoriale». C'è spazio anche per la lettura cattolica: padre Mario Toffa­ri, direttore dell'Ufficio diocesano Migranti: «Nella grande unità della Chiesa c'è spazio per tutte le diver­sità ». Poi però avverte: «Se l'Ucrai­na vince e diventa nemica dei rus­si, rischia di perpetuare una situa­zione che porterà di nuovo alla guerra». Per Mario Spezia, presiden­te provinciale dell'Associazione Na­zionale Partigiani Cattolici invece, non ci sono dubbi: «La Resistenza italiana durante la Seconda Guerra Mondiale è assolutamente equipa­rabile a quella del popolo ucraino. Il nostro popolo, dopo un lungo pe­riodo di dittatura, ha avuto la forza di unirsi contro l'invasore. L'autode­terminazione dei popoli è un fatto inarrestabile. Putin lo scoprirà pre­sto ».

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