Analisi e prospettive del conflitto (giunto a 500 giorni) nel convegno organizzato dalla Cisl: «Quanto siamo lontani dalla pace?»
Parole taglienti che squarciano il silenzio: «Se i russi smettono di combattere, la guerra finisce. Ma se smettono di combattere gli ucraini, finisce l'Ucraina». Lo dice con voce rotta Lyudmyla Popovych, presidente dell'associazione Nadiya che apre con un intervento molto sentito il convegno in Passerini Landi (moderato dal vicedirettore di Teleliberta Michele Rancati), sulle cause della guerra in Ucraina a 500 giorni dall'inizio del conflitto. « Abbiamo un grosso debito nei confronti di Piacenza – aggiunge -. La comunità è stata molto generosa con noi. Vogliamo la pace, ma anche se è brutto parlare di armi, sappiamo che non possiamo combattere a mani nude. Putin è come una scheggia impazzita, capisce solo il linguaggio della forza. Dobbiamo fermarlo». Tra gli organizzatori c'è anche il sindacato Cisl: il segretario nazionale Andrea Cuccello sostiene che, per Putin, la guerra è stata un modo per provare a interrompere l'inesorabile declino politico, vista la scadenza del mandato nel 2024. «Siamo qui per capire se ci sia anche solo una remota possibilità di arrivare alla pace» aggiunge il segretario generale di Parma e Piacenza Michele Vaghini, spostando l'attenzione sugli scenari futuri, «partendo però dal presupposto che non si possa mettere sullo stesso piano paese invasore e popolo invaso». La politica, quella alta, raccoglie l'appello: Paola De Micheli (deputata Pd) prima e Tommaso Foti (capogruppo FdI alla Camera) poi, non mostrano tentennamenti: «C'è sempre stata continuità negli aiuti al popolo ucraino, ma l'Italia non può rimanere a guardare mentre l'assetto dell'Europa viene stravolto da una rivoluzione copernicana che mette in dubbio gli equilibri del secondo Dopoguerra. Così come – aggiunge però piccata – l'Ucraina non può permettersi di mettere in dubbio l'impegno della Chiesa cattolica e del Papa, definito a torto filo-putiniano ». Foti elogia il popolo ucraino: «Se siamo qui oggi è perché ha dimostrato una resistenza straordinaria. L'Occidente ha mal interpretato quanto avveniva nel 2014, confondendo come referendum popolare (quanto accadde in Crimea) il primo atto dell'invasione». Per questo ora – chiude – è necessario porre rimedio a quell'errore storico, aiutando gli ucraini in una battaglia che è di valori, prima che di territorio». Simone Attilio Bellezza, docente di Storia Contemporanea alla Federico II di Napoli, ravvisa nel 1991 la data clou: «Crollò l'Urss e nacquero Russia e Ucraina. Avevano culture simili e stessa necessità di passare dal socialismo al liberalismo. Al potere in Ucraina salgono ex comunisti che guidano la transizione: assommavano potere politico ed economico, i cosiddetti oligarchi. Poi nel 2004 sale al potere Yushenko. La parola d'ordine è avvicinarsi all'Europa, democratizzandosi e ribellandosi agli oligarchi. La popolazione, quindi, crea un anello di congiunzione con la classe dirigente europeista. Putin decide di invadere l'Ucraina per questo: rappresenta una via credibile anche per la Russia, opposta al suo centralismo dittatoriale». C'è spazio anche per la lettura cattolica: padre Mario Toffari, direttore dell'Ufficio diocesano Migranti: «Nella grande unità della Chiesa c'è spazio per tutte le diversità ». Poi però avverte: «Se l'Ucraina vince e diventa nemica dei russi, rischia di perpetuare una situazione che porterà di nuovo alla guerra». Per Mario Spezia, presidente provinciale dell'Associazione Nazionale Partigiani Cattolici invece, non ci sono dubbi: «La Resistenza italiana durante la Seconda Guerra Mondiale è assolutamente equiparabile a quella del popolo ucraino. Il nostro popolo, dopo un lungo periodo di dittatura, ha avuto la forza di unirsi contro l'invasore. L'autodeterminazione dei popoli è un fatto inarrestabile. Putin lo scoprirà presto ».
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